È nella borsa!
di Linda Sue Pochodzay Edwards
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Stefania aprì la porta, lasciò cadere lo zaino sul pavimento e corse dritta nella sua stanza senza dire una parola a nessuno. Si mise a letto, si coprì la testa con le coperte e cominciò a piangere. “Non è giusto! Non è giusto!” piagnucolò. “Non so perché vengo sempre incolpata di tutto!”
Suo fratello Marco era nella sua stanza e cercava di fare i compiti quando la sentì singhiozzare. Bussò alla sua porta e chiese di poter entrare. Stefania poi sbottò tutta la storia tra i singhiozzi.
Quel giorno, durante la lezione di arte, uno dei ragazzi aveva aperto l'armadietto dove l'insegnante riponeva i materiali. Aveva tirato fuori un barattolo di vernice e lo aveva fatto cadere accidentalmente, rovesciandolo sul pavimento e sulla scrivania di Stefania, che era proprio accanto all'armadio. Poi si era allontanato in fretta, lasciando il disordine. La signora Giovannelli era entrata nella stanza e aveva visto Stefania stare lì chiedendosi cosa fare. Dato che Stefania era l'unica nella stanza in quel momento, la signora Giovannelli aveva erroneamente pensato che fosse stata lei a fare il pasticcio e l'aveva costretta a ripulire tutto.
Marco era molto dispiaciuto per sua sorella. Da quando era diventato più maturo, sapeva cosa significasse essere incolpato per qualcosa che non si era fatto. La cinse con un braccio e cercò di consolarla. Poi le disse che sarebbe andato con lei il giorno dopo a parlare con la signora Giovannelli.
Stefania smise di piangere e cominciò a sentirsi molto meglio. Era felice di avere un fratello maggiore ed era felice di sapere che l'avrebbe difesa.
Giuseppe e i suoi fratelli avevano consumato insieme un delizioso banchetto. Parlavano, ridevano e godevano della reciproca compagnia, anche se i fratelli non avevano idea che fosse il loro fratello. Erano ancora piuttosto perplessi riguardo al buon trattamento che stavano ricevendo. Immaginate la loro sorpresa quando, dopo il pasto, furono invitati a restare e a passare la notte nella casa del responsabile di tutto l'Egitto!
Giuseppe comandò ai suoi servi di riempire i loro sacchi con tutto il cibo che potevano trasportare. Ordinò loro inoltre di rimettere il denaro nel sacco di ciascuno. Poi comandò loro di mettere la sua coppa d'argento nel sacco di Beniamino.
Al mattino, alle prime luci dell’alba, i fratelli caricarono tutti i sacchi sui loro asini e si avviarono verso casa. Non potevano fare a meno di parlare della strana svolta degli eventi ed erano contenti che questa volta il viaggio fosse stato felice.
Giuseppe li fece sorvegliare da uno dei suoi servitori mentre se ne andavano. Disse al servo, “Quando saranno appena fuori città, inseguili. Parla loro duramente e chiedi loro perché hanno ricompensato la mia bontà nei loro confronti con il male. Chiedi perché hanno rubato la mia speciale coppa d'argento.”
Il servo fece proprio come gli era stato detto. Poiché aveva un carro e non era carico di pesanti pacchi di cibo e provviste, riuscì facilmente a raggiungerli. “Perché avete fatto del male dopo che vi abbiamo trattato così bene?” chiese ai fratelli, parlando in modo rude. “Perché avete rubato la speciale coppa d'argento che appartiene al governatore?”
I fratelli erano senza parole. Non sapevano cosa pensare né cosa dire.
“Cosa intendi?” lo interrogarono. “Abbiamo restituito il denaro che è stato trovato nei nostri sacchi, e non abbiamo idea della coppa d'argento di cui stai parlando. Nessuno di noi oserebbe derubare il governatore, soprattutto dopo la gentilezza che ci ha mostrato! Se trovi la coppa d'argento tra tutte le nostre provviste, allora saremo tutti schiavi nella casa del governatore.” Tutti i fratelli annuirono in segno di assenso perché erano assolutamente sicuri che nessuno di loro avesse la coppa d'argento del governatore.
“Va bene,” disse il servitore. “Sarà proprio come hai detto, tranne che soltanto la persona che ha la coppa d'argento tornerà dal governatore e diventerà suo schiavo. Al resto di voi sarà permesso di tornare a casa.”
Fu una vera fatica scaricare tutti gli asini. I sacchi erano pieni fino all'orlo ed erano molto pesanti. Il servitore frugò in tutte le loro provviste. Poi fece aprire tutti i sacchi dei viveri, e li frugò, cominciando dai sacchi dei più grandi e scendendo fino ai più piccoli. I fratelli erano sicuri di sé e si sentirono molto sollevati quando fu perquisita una borsa dopo l'altra e la coppa d'argento non fu trovata…. Ma poi….
…Furono colpiti dalla paura e dall'incredulità quando il servo frugò tra le cose di Beniamino. Quando aprirono l'ultimo sacchetto di cibo, tutti videro che la coppa d'argento era proprio lì, ben visibile, nella parte superiore del sacchetto. Chinando la testa per la vergogna e tremando di paura, iniziarono immediatamente a ricaricare tutto sui loro asini. Seguendo il servitore, iniziarono con riluttanza il temuto viaggio di ritorno alla casa dell'uomo al potere.
“Siamo certamente ‘spacciati’ adesso,” dissero con sgomento. “Come è finita quella coppa nel sacco?” si chiedevano.
Beniamino fece del suo meglio per difendersi. “Non l'ho presa! Non l'ho messa lì!” Esclamò. “Non so come sia finita nella mia borsa! Onestamente sto dicendo la verità!”
La verità è che la coppa d'argento era stata trovata nel sacco di Beniamino e non importava come fosse arrivata lì, erano in GRANDI GUAI! Si erano accordati con il servo che la persona nella cui borsa fosse stata trovata la coppa sarebbe stata lasciata schiava in Egitto. COME avrebbero mai potuto spiegarlo al loro padre quando sarebbero dovuti tornare a casa senza Beniamino?
Quando i fratelli tornarono alla casa del governatore, si prostrarono a terra davanti a lui.
“Cos'avete fatto?” chiese bruscamente il governatore. “Di sicuro dovreste sapere che una persona importante come me ha la capacità di discernere la verità! Pensavate davvero di poter rubare la mia speciale coppa d'argento e non farvi prendere?”
Giuda parlò con forza ma con timore. “Oh, signor Governatore! Cosa possiamo fare per rimediare a ciò che è stato fatto? Diventare vostri schiavi, basterebbe per rimediare a questo grande torto?”
Non ricevendo risposta, Giuda si avvicinò un po' al governatore. “Posso parlarti in privato?” chiese.
“So che sei il secondo in comando e nessuno è più grande di te, tranne il re Faraone. Per favore, non essere arrabbiato con noi.” Giuda continuò, “Ricordi quando siamo arrivati la prima volta e ci hai chiesto di nostro padre, poi ci hai chiesto se avevamo un altro fratello e ce lo hai fatto portare da te? Ti abbiamo detto che non potevamo portarlo perché suo padre ne sarebbe stato addolorato se gli fosse accaduto qualcosa. Ma tu non ci avresti lasciato comprare del cibo se non lo avessimo portato.”
“Bene, abbiamo fatto quello che ci avevi richiesto,” continuò a spiegare Giuda. “Lo abbiamo portato a trovarti e ora ci è capitato questo guaio. Se torniamo a casa senza di lui, nostro padre, che è molto vecchio e ama molto Beniamino, sicuramente morirà di dolore. Per favore, per favore, per il bene di nostro padre, prendimi come schiavo al posto di Beniamino,” supplicò Giuda.
Giuseppe fu sopraffatto dall'emozione e non riuscì più a trattenersi. Vide come i fratelli erano cambiati nel corso degli anni e non erano più pieni di odio. Vide l'amore che avevano per suo padre e per suo fratello minore. Cominciò a piangere apertamente.
“Lasciate tutti la stanza,” ordinò ai suoi servi. “Lasciatemi da solo con questi uomini.” I servi fecero ciò che era stato loro chiesto e uscirono dalla stanza, ma poiché Giuseppe gridava forte, lo sentirono anche dalla stanza accanto.
Allora Giuseppe parlò con voce rotta ai suoi fratelli. “Io sono Giuseppe,” disse. “Mio padre è ancora vivo?” chiese.
I fratelli furono sbalorditi e non potevano parlare. Ci volle un po' di tempo per comprendere quello che stava dicendo.
“Avvicinatevi,” disse Giuseppe. “Sono vostro fratello Giuseppe, che avete venduto come schiavo. Ma non abbiate paura e non siate adirati con voi stessi. Dio si è servito delle vostre azioni per portarmi in Egitto affinché potessi salvarvi la vita.”
Giuseppe proseguì dicendo loro che, sebbene ci fossero già stati due anni di carestia, ce ne sarebbero stati altri cinque. “Non siete stati voi a mandarmi qui, ma Dio. Egli mi ha fatto prosperare e mi ha reso un importante consigliere del Faraone e mi ha costituito governatore di tutta la sua casa, della sua terra e di tutto il paese d'Egitto.”
I fratelli rimasero immobili, sbalorditi. Non potevano credere a quello che stavano sentendo. Dopo tutti questi anni passati a credere che Giuseppe fosse morto, era difficile per loro comprendere il fatto che fosse vivo e stava proprio lì davanti a loro. Era ancora più difficile per loro credere che il loro fratellino, quello che avevano preso in giro, chiamato sognatore e venduto come schiavo, fosse ora la seconda persona più importante di tutto l'Egitto.
“Questo è quello che voglio che facciate,” continuò Giuseppe. “Tornate a Canaan e dite a mio padre che sono vivo. Ditegli che mi avete visto e che sono governatore in Egitto. Radunate tutti i tuoi greggi e portate le vostre famiglie a vivere qui in Egitto vicino a me. C'è cibo in abbondanza qui e le vostre famiglie non avranno mai più fame. Presto! Non tardate a tornare. Voglio vedere mio padre!”
Giuseppe allora si rivolse a Beniamino. Lo abbracciò, lo baciò e pianse lacrime di gioia. Poi abbracciò e baciò ciascuno dei suoi fratelli. Era felice di poter finalmente parlare con loro come fratelli invece di fingere di non conoscerli.
I servitori di Giuseppe stavano ascoltando in un'altra stanza e diffusero la voce che erano arrivati i fratelli di Giuseppe. Non ci volle molto perché la notizia arrivasse al Faraone. Era contento perché Giuseppe era felice e gli disse. “Prendi dei carri da mandare a Canaan per portare i bambini e tuo padre, così non dovranno sentirsi a disagio camminando e cavalcando gli asini.”
Il re allora disse, “Di' loro di portare le loro mandrie ma di non preoccuparsi di portare altre cose. Mandate provviste per il viaggio e dite loro che darò loro tutto ciò di cui avranno bisogno quando arriveranno qui. Darò loro anche la terra di Goscen, che è presso un fiume, affinché le loro mandrie e le loro greggi abbiano acqua da bere.”
Giuseppe fece secondo tutto ciò che aveva detto il faraone. Diede ai fratelli carri, provviste e vestiti nuovi, e diede a Beniamino trecento pezzi d'argento. Mandò per suo padre dieci asini carichi dei migliori beni dell'Egitto e altri dieci asini carichi di viveri e carne per il viaggio in Egitto.
I fratelli si affrettarono più velocemente che potevano lungo il sentiero caldo, secco e polveroso per tornare a Canaan. Erano troppo entusiasti per lamentarsi delle condizioni di viaggio secche, calde e polverose. Parlarono per tutto il tempo di tutto quello che era successo in Egitto. Non sapevano ancora bene cosa pensare del fatto che Giuseppe, il loro fratello, fosse l'uomo al comando!
Erano ansiosi di tornare a casa dalle loro famiglie e dal padre per raccontare loro tutta la loro fortuna e, cosa più importante, che Giuseppe era vivo!
RIFLETTI!
1. Cosa era stata trovata nella borsa di Beniamino?
2. Come era finita la coppa d’argento nella borsa?
3. Cosa erano tutti d'accordo che sarebbe dovuto accadere alla persona che aveva la coppa d'argento?
4. Quale fratello ha parlato e ha implorato di essere scambiato con Beniamino?
5. Giuseppe cercò forse di vendicarsi dei suoi fratelli per averlo gettato in una fossa e averlo venduto come schiavo?
6. Giuseppe piangeva perché era triste o perché era felice?
7. Quali regali ha mandato a casa a suo padre?
8. Come reagì il re Faraone quando seppe che i fratelli di Giuseppe erano in città?
RICORDA:
Cerca sempre di perdonare quando ti viene fatto un torto.
UN VERSETTO DA IMPARARE
“Non siete dunque voi che mi avete mandato qua, ma è Dio” (Genesi 45:8a).
APPLICAZIONE PRATICA
Che ne dici di un gara veloce? Vediamo chi riesce ad assumere la faccia più innocente. E il vincitore è...? E se fossi colpevole di qualcosa e fingessi di essere innocente? Per quanto tempo pensi che potresti mantenere una faccia innocente?
I fratelli di Giuseppe lo fecero per molti anni, ma il loro sporco segreto era noto a Dio e a Giuseppe. Erano dispiaciuti per quello che avevano fatto a Giuseppe perché vedevano quanto feriva il loro amato padre. Il problema era che semplicemente non riuscivano a dire la verità: avevano venduto Giuseppe ai mercanti di schiavi. Pensi che sia facile fingere di essere innocente per anni e anni, cercando di mettere a tacere la tua coscienza, quando, in realtà, sei colpevole? Nonostante ciò, Dio li amava così tanto che elaborò un piano affinché diventassero puri.
Non è molto più facile avere una faccia innocente se lo sei davvero? Non ci sarebbe bisogno di fingere. Anche se i fratelli di Giuseppe erano innocenti dall'aver rubato la coppa, furono comunque incolpati per questo. Sei mai stato incolpato o punito per qualcosa che non hai fatto perché nessuno credeva che fossi innocente? Come ti ha fatto sentire? Ti sei sentito ferito e arrabbiato?
[Dopo la discussione:] La Parola di Dio dice che dobbiamo liberarci di tutti i rancori e perdonare coloro che ci accusano falsamente. Prendiamoci un momento per pensare alle volte in cui abbiamo finto di essere innocenti mentre in realtà eravamo colpevoli. Ora, pensa alle volte in cui sei stato incolpato o punito per l'errore di qualcun altro mentre eri completamente innocente.
Chiediamo perdono a Dio e chiediamogli di aiutarci a fare sempre la cosa giusta e ad essere onesti riguardo ai nostri errori. Chiediamo anche a Dio di aiutarci a perdonare coloro che ci hanno accusato falsamente, o incolpato, o punito quando non abbiamo fatto nulla di male. Lascia che la tua luce splenda in questo mondo oscuro perché la Bibbia ci insegna che è meglio soffrire ingiustamente per aver fatto il bene, se è la volontà di Dio, piuttosto che soffrire giustamente per aver fatto il male (1 Pietro 3:17).
PREGHIAMO
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Caro Dio, grazie perché hai sempre il controllo
e sai cosa è meglio per noi. Aiutaci a ricordarci
di essere gentili e di perdonare gli altri.
Nel nome di Gesù. Amen.
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